Il bullismo nell’era digitale
Il termine Bullismo deriva dal termine inglese “Bullying” volto ad indicare tutti i comportamenti di violenza e oppressione fisica e psicologica agita da uno o più bulli verso un soggetto vittima, considerato più debole.
Tra le forme di bullismo (diretto, indiretto, cyber-bullismo), il cyber-bullismo (messo in atto tramite le tecnologie digitali) riguarda il 22,2 % dei casi totali.
Ma cosa rende il web ancora più pericoloso? La velocità di diffusione delle notizie. Pensate alla velocità con cui inviate per esempio i messaggi di Natale ai vostri contatti, cliccando e selezionando tutti i contatti della vostra rubrica, lo stesso accade per la diffusione di atti di bullismo tramite video o foto, o messaggi offensivi alla vittima.
La vittima si percepisce incapace di poter reagire, come se fosse senza via di fuga. Rispetto alle altre forme di bullismo nelle quali la vittima immagina che quando andrà via da quella situazione vivrà un momento di distacco rispetto quella violenza, quello che accade nell’era digitale con il cyber-bullismo è sentire un senso di oppressione, impotenza, essere senza via di fuga. Tutti condividono e tutti inviano come per un effetto valanga, dove non si distingue più da dove sia partito il tutto e tutti credono di non avere colpa, di non avere responsabilità.
I giovani che osservano tali comportamenti (a distanza e tramite uno smartphone) mostrano desensibilizzazione verso la vittima e difficoltà a provare empatia.
La condivisione di questi contenuti non è percepita come violenza, ma come l’ennesima “bravata” fatta dai compagni.
Oltre al bullo e alla vittima, all’interno dello scenario di bullismo ritroviamo altri attori importanti: coloro che osservano (gli spettatori) e chi prende le difese della vittima (i difensori); proprio nel cyber-bullismo spesso viene a mancare il ruolo del difensore, sono tutti spettatori che osservano senza prestare attenzione, senza immaginare le conseguenze o il fatto che la situazione possa degenerare.
Nel cyber-bashing, il maltrattamento informatico, agisce uno o più soggetti: uno o più bulli, uno o più soggetti che filmano e condividono sul web, e gli spettatori diventano parte attiva nella diffusione dei video. Quello che preoccupa è l’idea che le nuove generazioni si avvicinino a questo processo visto come “lecito”. Chi guarda il video sembra come se stesse giocando ad un videogioco, incita la violenza, sembra essere quasi una sorta di tifoseria a favore del bullo.
Le vittime, spesso pre-adolescenti o adolescenti, mostrano un ritiro sociale, insicurezza, un senso di vergogna e la difficoltà nel comunicare il proprio disagio. Purtroppo, in alcuni casi questa sofferenza porta le giovani vittime a commettere gesti disperati, credendo di non avere vie di uscita.
Dott.ssa Rita Rimoli Psicologa
Vicepresidente dell’Associazione “Il Cammino del Soffione”